La paura di sapere

“Gli istanti che passano,
l’ansia che rimane,
un semplice gesto,
la voglia di dirle solo ‘notte
incompresa all’orgoglio”

Chiuse il suo taccuino e appoggiò la matita sul sedile della macchina,
accanto alla pistola, e guardò fuori. Era stanco. La luce gialla del
lampione filtrava appena nella nebbia di quella sera. Ma era la stessa
nebbia che accompagnava i suoi pensieri. Gli capitava spesso di
scrivere quando era solo in missione. Era facile. Scioglieva la
fantasia e non pensava a quello che doveva fare.
Avrebbe voluto fumare una sigaretta, giusto per soddisfare più il
bisogno di rifugiarsi in qualunque cosa, che altro.
Perché lui non fumava.
Non voleva fare quello che stava facendo, ma ormai non si
fidava più di lei e doveva scoprirlo. Le minacce che aveva ricevuto
erano pericolose e non voleva lasciare nulla al caso.

Era arrivato al luogo dell’appuntamento in anticipo su una macchina
“presa in prestito” in un parcheggio. L’auto
l’avrebbero ritrovata con delle lattine di birre svuotate dentro e
il “prestito” sarebbe passato come il furto di qualche
balordo. Era arrivato qualche ora prima per assicurarsi che il posto
dell’appuntamento fosse “pulito”. Non voleva trovare
ospiti ad aspettarlo e soprattutto doveva accertarsi che lei venisse
da sola. Sapeva come si fanno quei lavori. Gli anni passati a pedinare
cellule dormienti e a “ripulirne” il passaggio gli
avevano insegnato bene il mestiere.
Ora era lui in pericolo e doveva difendersi.
Quando l’aveva chiamata per l’appuntamento aveva sentito in lei
una voce serena, tranquilla, e qualche dubbio era iniziato a nascere,
ma non doveva lasciare niente al caso. Quella donna lo ammaliava con
la sua dolcezza, con la sua semplicità, ma ancora non sapeva se quella
era la sua arma per farlo cadere in trappola.
La nebbia intanto continuava a scendere tutto intorno e i colori della sera si
mischiavano ormai gli uni con gli altri. Unico riferimento visibile
rimaneva solo la luce gialla del lampione.
Lui si strinse nel cappotto e alzato il bavero gli tornarono in mente i film di spionaggio che vedeva da ragazzo. Strana sensazione quella, un déjà vu in bianco e nero.
Riprese in mano il suo taccuino e avrebbe voluto continuare a scrivere, ma ogni riga che abbozzava gli sembrava composta solo da parole sdolcinate o patetiche. Decise che quella sera avrebbe lasciato i suoi versi solo di poche righe. D’altronde lui
avrebbe voluto veramente chiamarla per dirle solo buonanotte, ma tutto
con lei era stato sempre difficile, e cose naturali sembravano che
innescassero sempre situazioni ingovernabili.
Intanto, davanti a lui, le luci di una macchina schiarivano appena la
nebbia. D’istinto avvicinò la mano alla pistola e si augurò che
quella fosse solo la macchina che aspettava.
Le vicende che li avevano portati a quella situazione ora lo
opprimevano, gli levavano l’aria. Aveva scoperto che c’era
qualcun altro che conosceva particolari della loro vita che credeva
privati, intimi. Quei dettagli erano lo specchio della loro complicità
e doveva capire come mai erano stati rivelati. La sua fiducia era
stata tradita, ma doveva mettere da parte il suo orgoglio e scoprire
perché lei aveva parlato, doveva conoscere quanto era stato rivelato,
perché ora era in gioco la sua copertura.
La macchina si fermò poco distante dal lampione e scese lei. Sembrava
fosse sola. Bella quella camminata, e mentre la vedeva arrivare, si
accorse di quanto gli dispiacesse averla portata lì con una scusa.
La vedeva arrivare e si rese conto che il cuore iniziava a battergli
più forte, quasi fosse il primo appuntamento di un liceale.
La sua paura era la consapevolezza di quanto poco avessero parlato.
Lui non riusciva mai a dirle tutto quello che avrebbe voluto, sempre
inscatolato nel suo ruolo, e lei invece, quasi mai aveva avuto il
coraggio di mostrarsi così come era, aveva paura di svelare il suo
vero io e di abbattere le difese della sua fortezza.
La paura della sincerità era sempre stato un freno più forte di ogni emozione
e lei non aveva mai avuto la forza giusta per sbloccarlo.
Quante cose avrebbero potuto dirsi se solo avessero iniziato e invece,
ora, lui cercava una risposta a una domanda che non sarebbe mai stata
formulata se entrambi avessero solo parlato.
Lui mise via il taccuino, e la pistola la infilò nella tasca destra
del cappotto. Quindi aprì la portiera, scese dall’auto e andò verso
di lei.
La nebbia ormai fitta faceva passare appena la luce del lampione, e il freddo
pungente era complice dell’umido di quella sera. Si trovarono uno di fronte all’altro.
Avrebbero voluto sfiorarsi ma la solita barriera invisibile dei ruoli, delle paure, li divideva
ancora una volta. Lui, stranamente gentile, gli parlò solo delle minacce e del pericolo che
quelle rivelazioni potessero avere, delle ricadute sulla loro copertura. Si sentiva patetico
a parlare ora di fiducia e tradimenti. Ora bisognava arginare il pericolo.
Lei riuscì solo a dire “Scusami, ero incazzata e mi sono sfogata con la persona sbagliata nel momento sbagliato. Non credevo … non volevo …”.
Nel palazzo adiacente alla strada, l’obiettivo a infrarossi di un fucile di precisione inquadrava i corpi nel visore a contrasto termico.
Il mirino laser si spostò sulla sagoma più grande, si spostò sul petto di lui. Mentre gli occhi dei due si chiedevano scusa,
il  rumore del colpo venne quasi attutito dall’ovatta della nebbia.
Lui lo sapeva, sapeva che poteva succedere, non era un programmatore di computer, la violenza lo aveva accompagnato per anni.
Ma non ora. Non ora che lei gli era davanti.
I loro occhi si fissarono un istante e le labbra di lei fu l’ultima cosa che vide.
Non sentì mai il secondo colpo partire.
Ora erano liberi, liberi di volare fra le nuvole, di confidare le loro parole al vento.

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